Una visione d'insieme Scorrendo le tappe fondamentali della Storia
dell'Astronomia, appare evidente come il quadro complessivo del Sistema Solare si sia
gradualmente modificato e ampliato man mano che la ricerca e la tecnologia mettevano a
disposizione strumenti di indagine più adeguati.
Alla fine del XVII secolo tale quadro era già sufficientemente complesso, tanto che si
riconosceva, oltre alla evidente presenza del Sole e della Terra con la Luna, anche quella
di Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno; erano inoltre noti 4 satelliti di Giove (i
cosiddetti Galileiani) e 5 di Saturno, e cominciava a prender corpo l'idea che le comete
fossero a pieno titolo corpi appartenenti al Sistema Solare (Halley - 1687).
Nel XVIII secolo si aggiunge al gruppo Urano con 2 suoi satelliti, mentre salgono a 7
quelli di Saturno.
Un ulteriore passo in avanti viene compiuto nel secolo scorso: Nettuno, i due satelliti di
Marte, 2 ulteriori satelliti di Saturno, altri 2 di Urano ed uno di Giove. E'
inevitabile, parlando di Nettuno, sottolineare come la scoperta di questo pianeta
rappresenti uno dei momenti storici della Meccanica Celeste; grazie agli studi accurati
delle perturbazioni dell'orbita di Urano compiuti, indipendentemente, da Adams e Le
Verrier, J.G. Galle di Berlino il 23 settembre 1846 (tre mesi dopo la pubblicazione dei
calcoli di Le Verrier) identificò in cielo il nuovo pianeta: carta e penna avevano
preceduto il telescopio e gli avevano indicato la strada.
E' del 1801 la scoperta di Cerere, il primo degli asteroidi e su di essa approfondiremo il
discorso in seguito.
Per completare il quadro dei pianeti bisognerà attendere il 18 febbraio 1930 con la
scoperta di Plutone, avvenuta in modo apparentemente simile a quella di Nettuno: i calcoli
erano stati fatti da Lowell e la scoperta fu opera di Tombaugh. In quella
circostanza, però, la fortuna diede proprio un aiuto decisivo: gli elementi orbitali
calcolati teoricamente, infatti, erano abbastanza diversi da quelli reali determinati in
seguito, e Plutone si trovava in quella posizione quasi per caso...
E opportuno, sempre parlando di Plutone, segnalare fin dora che, oggi, non è
più così unanimemente condivisa la sua classificazione come pianeta, ed a tal proposito
occorre aprire una piccola parentesi.
E vero che la necessità di definire un
corpo quale "pianeta" è puramente speculativa e deriva più dal nostro bisogno
di classificare i corpi celesti che non da effettive e nette distinzioni presenti in
natura, ma è altrettanto vero che il codificare alcuni criteri identificativi potrebbe
talvolta aiutare la nostra comprensione.
Un dato innegabile è che non esiste alcuna definizione ufficiale di cosa possa essere
considerato un pianeta, ma è comunque possibile tentare di costruire una accettabile
definizione di lavoro, e lo facciamo seguendo i suggerimenti di A. Stern (1992).
E ragionevole supporre che un corpo celeste per essere considerato un pianeta debba
soddisfare questi tre criteri:
1. Non deve essere di massa talmente elevata da riuscire ad
innescare reazioni nucleari al suo interno, trasformandosi in tal modo in una stella.
2. Deve possedere una massa sufficientemente elevata da fargli
assumere una forma sferica grazie allazione della sua stessa gravità; la
transizione tra una forma irregolare ed una forma sferica assicurata dalla gravità si
verifica per oggetti di 200-400 km di diametro.
3. Deve percorrere unorbita che si snoda direttamente
intorno al Sole e non attorno ad un altro corpo celeste.
Questi criteri sono sufficientemente chiari, facilmente comprensibili e, penso,
condivisibili da tutti.
La loro applicazione, però, mostra evidenti segni di problematicità; non si capisce,
infatti, perchè venga classificato come pianeta Plutone e non lo siano i maggiori
asteroidi (Cerere, Pallade, Vesta...). Certamente hanno giocato in questa
direzione le contingenze storiche, riconducibili, in modo molto sintetico, alla scoperta a
cascata degli asteroidi ed alla quasi immediata elaborazione della teoria del
"pianeta distrutto", con il conseguente declassamento di questi corpi celesti al
ruolo secondario di frammenti. Per Plutone, invece, le circostanze hanno
operato in senso contrario, favorendo la maggiore considerazione di cui gode: non solo si
trattava di un nuovo e concreto risultato di quel lavoro di analisi delle perturbazioni
del moto che, ottanta anni prima, aveva egregiamente portato alla scoperta del pianeta
Nettuno, ma, soprattutto, questo nuovo oggetto, posto agli estremi confini della zona
planetaria del Sistema Solare, non condivideva la sua orbita con altri corpi celesti,
dunque il classificarlo come pianeta era la scelta più logica...
Ragionando con il senno di poi, emerge, evidente, il diverso metro usato nel caso di
Cerere e Plutone; se, poi, si tiene conto delle recenti scoperte nella zona
trans-nettuniana non si può non riflettere sul carattere talvolta ambiguo e fuorviante
che possono assumere le nostre classificazioni se si considerano come parametri assoluti
ed indiscutibili. Non intendo, comunque, nè indire crociate per
linclusione di Cerere nel novero dei pianeti nè battermi perchè si giunga
allostracismo nei confronti di Plutone: non siamo certamente di fronte, come
talvolta capita di leggere, alla necessità di "rimediare a delle
ingiustizie"...
E poi, anche se questa argomentazione può sembrare banale, forse che la diversa etichetta
che potremmo mettere su questi corpi celesti potrebbe fornirci nuove verità circa la loro
natura?
Ritengo, in ogni caso, che il terzo criterio necessiti di una appendice.
Questa potrebbere essere la valutazione della forma dellorbita e della sua
stabilità nel tempo: lo studio del valore delleccentricità e
dellinclinazione dellorbita di un corpo potrebbero rivelare orbite
caratterizzate nel passato da forti perturbazioni gravitazionali o da impatti e tale
esperienza potrebbe ancora influenzare levoluzione dinamica di quel corpo.
Il punto cui voglio arrivare è introdurre il criterio della stabilità
orbitale su tempi comparabili alletà del Sistema Solare: questo criterio comporta
che un pianeta sia destinato a mantenere la sua collocazione orbitale e non venga
disturbato in modo catastrofico dagli altri pianeti. La verifica operativa di
questo fatto non è comunque semplice ed è possibile solamente ricorrendo
allintegrazione delle orbite su lunghi periodi per mezzo di programmi di calcolo e
simulazioni computerizzate.
Chiudiamo bruscamente questa parentesi e torniamo al quadro generale del Sistema Solare.
La situazione dei componenti la famiglia del Sole ottenuta grazie alle osservazioni
effettuate con i mezzi attuali, soprattutto grazie al contributo delle sonde spaziali,
può essere riassunta in questa tabella:
Pianeta |
Numero
satelliti |
Dist.
media dal
Sole (U.A.) |
Periodo
(anni) |
Massa
(MT) (*) |
Raggio
(RT) (*) |
MERCURIO |
0 |
0.387 |
0.240842 |
0.0559 |
0.382 |
VENERE |
0 |
0.723 |
0.615187 |
0.8150 |
0.949 |
TERRA |
1 |
1.000 |
1.00000 |
1.00 |
1.00 |
MARTE |
2 |
1.524 |
1.880816 |
0.1074 |
0.532 |
GIOVE |
16 |
5.203 |
11.86178 |
317.9 |
11.226 |
SATURNO |
18 (**) |
9.523 |
29.45657 |
95.2 |
9.407 |
URANO |
17 |
19.164 |
84.01880 |
14.5 |
4.007 |
NETTUNO |
8 |
29.987 |
164.788 |
17.2 |
3.882 |
PLUTONE (***) |
1 |
39.440 |
247.688 |
0.0022 |
0.180 |
(*) MT = 5.97 x 1024 kg RT = 6378 km
(**) Si hanno concrete indicazioni (IAUC 6515) che attorno a Saturno vi siano molti altri
satelliti di piccole dimensioni; la parola definitiva spetterà, forse, alla missione
spaziale Cassini, che ha iniziato il suo viaggio verso il pianeta degli anelli il 15
ottobre 1997.
(***) Plutone è mantenuto nell'elenco per le ragioni storiche sopra citate.
Ma, come si è già avuto modo di notare, non vi
sono solamente pianeti (con i rispettivi satelliti) a danzare intorno al Sole.
Tra Marte e Giove, in una regione di spazio compresa tra circa 1.8 e 3.5
U.A., si colloca la FasciaPrincipale degli Asteroidi, formata da circa il 97% degli oltre
40.000 (finora scoperti) corpi celesti così chiamati per il loro aspetto "quasi
stellare", 7000 dei quali ha orbite determinate in modo accurato.
Il quadro è ulteriormente arricchito dalla presenza delle Comete (corpi celesti per i
quali non è possibile trovare una "collocazione spaziale" ben definita in
quanto caratterizzati da un'ampia gamma di parametri orbitali) e dalla recente
introduzione di una nuova classe di oggetti celesti, indicati genericamente con il termine
di Kuiper-Belt Objects (ma ai quali talvolta ci si riferisce con il termine di Oggetti
Trans-Nettuniani) la cui scoperta ha reso non più solamente ipotetica l'esistenza della
Fascia di Kuiper.
Anche agli occhi dei non addetti ai lavori appare sempre più evidente il cambiamento
radicale cui si sta avviando la nostra visione del Sistema Solare, e non solo grazie alla
scoperta dellesistenza di numerosi corpi celesti allestrema periferia della
zona planetaria, ma anche grazie alla crescente presa di coscienza che lo stesso spazio
interplanetario è tuttaltro che vuoto. Una popolazione in continuo
aumento, dunque, quella che compone il Sistema Solare, e questo può forse giustificare il
crescente bisogno di rivedere classificazioni che, fino a ieri, avevano egregiamente
svolto il loro compito.
La stessa definizione di Corpi Minori presenta alcuni aspetti problematici: solitamente
con questo termine si è sempre inteso comprendere i corpi del Sistema Solare con
lesclusione dei pianeti e del Sole, intendendo distinguere tra tutti i corpi (ed il
termine "minori" è in tal senso molto eloquente) gli oggetti più grandi da
quelli di dimensioni inferiori; ma come non puntualizzare che vi sono almeno due satelliti
(Ganimede e Titano) più grandi di Mercurio e ben 7 con diametro equatoriale maggiore di
quello di Plutone?
Si veda, a tale proposito, la tabella seguente:
Oggetto |
Satellite di |
Diametro |
GANIMEDE |
GIOVE |
5262 km |
TITANO |
SATURNO |
5150 km |
MERCURIO |
= |
4878 km |
CALLISTO |
GIOVE |
4800 km |
IO |
GIOVE |
3630 km |
LUNA |
TERRA |
3476 km |
EUROPA |
GIOVE |
3138 km |
TRITONE |
NETTUNO |
2700 km |
PLUTONE |
= |
2300 km |
In questo libro, comunque, utilizzerò il termine Corpi Minori del
Sistema Solare in una accezione ancora più ristretta, vale a dire escludendo tutti i
satelliti: verranno perciò analizzati gli ASTEROIDI, le COMETE ed i KUIPER-BELT
OBJECTS, cercando anche di verificare, dove possibile, come le conoscenze che
possediamo in merito a questi corpi si adattano a quanto conosciamo della formazione
dellintero Sistema Solare. Forse la scelta può apparire drastica, ma la
stupefacente varietà di caratteristiche rilevabili nei satelliti porterebbe
lanalisi troppo lontano; se è vero, infatti, che il meccanismo della genesi
satellitare è strettamente collegato al processo di accumulazione planetaria, è
altrettanto vero che i risultati cui giunge sono tuttaltro che uniformi, anche nel
caso di due pianeti sufficientemente simili tra loro quali sono Giove e Saturno.
Ogni satellite è veramente un "mondo a sè" e sarebbe veramente arduo riuscire
a dare di questi corpi una visione di sintesi.
La stessa distinzione in Asteroidi, Comete e KBO (Kuiper-Belt Objects) è mantenuta
unicamente con una finalità "didattica" in quanto offre elementi significativi
per inquadrare i corpi descritti; il rovescio della medaglia è che, in realtà, non tiene
conto del fatto che è veramente impossibile tracciare un confine netto tra le varie
classi.
E non si tratta solamente di gestire le varie eccezioni che confermano la regola!
Le comete e gli asteroidi, nelle loro accezioni più comuni, possiamo pensarli come i
rappresentanti estremi di un insieme molto variegato di oggetti celesti, nel quale trovano
evidentemente posto anche molteplici corpi che presentano caratteristiche intermedie.
Basti pensare, infatti, ai numerosi nuclei di comete ormai "spenti",
praticamente indistinguibili da un asteroide; o alloggetto 1996 PW (scoperto il 9
agosto 1996), caratterizzato da unorbita fortemente eccentrica, dunque di tipo
cometario, ma che non mostra alcun segno di attività cometaria; oppure alla cometa P/1996
N2 (scoperta annunciata il 7 agosto 1996) che associa unorbita tipicamente
asteroidale alla presenza di una bella coda.
E come non sospettare che in questo insieme così multiforme possano trovare stabile
collocazione anche gli oggetti trans-nettuniani e gli enigmatici Centauri?
Dopo queste precisazioni e prima di iniziare una analisi dettagliata, ritengo sia
necessario presentare un breve quadro descrittivo della nascita e dell'evoluzione del
Sistema Solare: sarà questo il quadro di riferimento nel quale collocare i vari corpi
sopra menzionati.
L'origine e l'evoluzione del Sistema Solare
La teoria ormai accettata circa l'origine e
l'evoluzione del Sistema Solare è sostanzialmente (come idea di partenza) quella di Kant
(1755) e Laplace (1796): una nube di gas e polveri che, sotto l'azione della gravità,
tende a condensarsi. E importante sottolineare (Coradini et al.,1980) il
duplice aspetto della teoria che deve spiegare la nascita del Sistema Solare: da una parte
vi è un problema astrofisico (correlato alla formazione della stella Sole, da
risolvere alla luce delle teorie e dei modelli stellari) e dall'altra parte un problema
planetologico (da risolvere alla luce dello studio dei meteoriti, delle superfici e
degli interni dei pianeti).
E significativo anche porre in evidenza due difficoltà di fondo, vale a dire il
fatto di avere a disposizione solamente il nostro Sistema Solare quale fonte di
informazioni ed il fatto che ci è quasi del tutto sconosciuto il suo stato iniziale.
Queste due difficoltà ci pongono in una situazione profondamente diversa e
più complicata di quella che si incontra nellanalisi dell'evoluzione stellare.
Lo studio dell'evoluzione stellare ha la possibilità di guardare sia nel passato
sia nel futuro: si possono, cioè, osservare stelle in diverse fasi della loro
evoluzione ed in tal modo verificare le ipotesi formulate. Nel caso
dellanalisi dell'evoluzione planetaria, invece, si ha a disposizione soltanto il
nostro sistema planetario, ed in esso, inoltre, è possibile individuare pochi relitti
delle epoche passate.
Ma vi sono anche due importanti evidenze relative allorigine comune del Sole e dei
pianeti:
1. il Sistema Solare è sostanzialmente isolato,
dato che la distanza della stella più vicina è maggiore di un fattore 5x104
rispetto alle dimensioni della zona planetaria.
2. la maggioranza dei corpi maggiori che compongono il Sistema
Solare ha orbite che giacciono su un piano comune e le percorre nello stesso senso.
Nella tabella che segue sono riportati i valori dellinclinazione delle orbite
planetarie rispetto al piano delleclittica, che, per definizione, è il piano su cui
giace lorbita della Terra:
Pianeta |
Inclinazione |
|
Pianeta |
Inclinazione |
MERCURIO |
7º 00 |
|
SATURNO |
2º 29 |
VENERE |
3º 24 |
|
URANO |
0º 46 |
MARTE |
1º 51 |
|
NETTUNO |
1º 47 |
GIOVE |
1º 18 |
|
PLUTONE (*) |
17º 08 |
(*) Per la classificazione di Plutone vale quanto già detto.
Dalle considerazioni fatte, appare evidente il fatto che la genesi di un sistema
planetario e la sua evoluzione dipendano in modo sostanziale dalle fasi evolutive della
stella ad esso associato.
Un dato ormai condiviso da tutti è che il processo di formazione stellare avvenga
all'interno delle nubi molecolari giganti (prevalentemente composte da H2 per
decine di migliaia o anche milioni di masse solari a temperature di pochi gradi Kelvin):
le parti più dense di queste strutture si suddividono in nubi più ridotte, di massa
compresa tra 0.01 e 100 masse solari, che cominciano a contrarsi per autogravitazione
(Lamzin, 1995). Non è ancora stato identificato con certezza, a questo
proposito, il meccanismo che rompe il sostanziale equilibrio della nube e innesca il
processo di collasso, anche se è ormai unanimemente accettata l'ipotesi di Lin delle
"onde di densità" associate alla struttura a spirale della Galassia (Gratton,
1978) ed è riconosciuto il ruolo determinante delle esplosioni di supernova (Coradini et
al., 1980 - Schramm e Clayton, 1982).
In ogni caso, con il sopravvento della gravità (fisicamente garantito solo se la massa
coinvolta supera il valore critico dato dalla massa di Jeans), la materia "cade"
verso il centro della nube in un tempo dell'ordine di 105 anni.
Si origina così una protostella: un corpo dotato di luminosità decine di volte superiore
a quella solare, la cui presenza può, però, essere rilevata solamente da osservazioni
IR. La radiazione emessa, infatti, viene rapidamente assorbita dall'involucro
di polveri che ancora circonda la protostella e riemessa nella zona IR dello spettro.
Stando ad un recente lavoro di Mannings ed Emerson (1994), le osservazioni
nel dominio millimetrico, oltre che rivelarci stelle nelle fasi iniziali, potrebbero anche
darci la prova dellesistenza di strutture a disco attorno a queste protostelle,
possibili sedi del meccanismo di formazione di un sistema planetario.
Associata alla fase di protostella, infatti, se la materia in caduta è dotata di un moto
di rotazione vi è la formazione di un disco nel quale gli attriti facilitano lo
smaltimento del momento angolare in eccesso e si attiva un processo di aggregazione tra le
polveri.
Alcuni attribuiscono proprio all'interazione tra un disco di accrescimento ed il campo
magnetico di una protostella tutti i fenomeni tipicamente collegati alle T-Tauri, fenomeni
che precedenti teorie non erano riusciti a spiegare in modo completo (Lamzin, 1995).
Il primo riscontro osservativo della teoria del disco di polvere attorno ad una stella
quale primo passo di una possibile formazione planetaria è la scoperta (nel 1984) del
disco di polvere attorno a b -Pictoris, stella di sequenza
principale distante da noi circa 50 anni luce. Il disco si estende per oltre
200 U.A. dalla stella centrale e le sue parti più interne contengono poca polvere, che,
probabilmente, si è già aggregata sotto forma di pianeti.
La più recente evidenza osservativa della presenza di un disco di polvere attorno ad una
stella si è avuta per HL Tauri (Close et al., 1997) ed il diametro della struttura è
stato stimato in circa 150 U.A. La stella centrale dovrebbe avere unetà
di circa 300 mila anni ed una massa di 0,7 MSOL: i
ricercatori responsabili della scoperta suggeriscono che il disco di HL Tauri sia un
ottimo esempio di ciò che fu il nostro Sistema Solare in formazione.
Attualmente, comunque, la presenza di dischi protoplanetari attorno a giovani stelle è
ormai un dato di fatto, confermato da diverse osservazioni tra cui, ad esempio, quattro
giovani stelle della Nebulosa di Orione.
Il processo di formazione di un disco sfocerebbe
gradualmente nella formazione di varie masse sferiche (planetesimali): si ipotizza
che per giungere a formare oggetti con dimensioni dell'ordine di 1 km sia necessario un
tempo di circa 104 anni (Taylor, 1992). Il gradiente termico
giocherebbe in questa fase un ruolo importantissimo concentrando nei corpi più prossimi
alla stella i materiali con densità più elevata e relegando in quelli più lontani i
materiali volatili.
Il passo successivo può essere identificato con alcuni dei fenomeni osservati nelle
stelle di tipo T-Tauri: per cause ancora ignote si arresta l'accrescimento di
materia sulla protostella e si sviluppa un potente "vento stellare" (con
velocità dell'ordine di alcune centinaia di km/sec e portata di miliardi di
tonnellate/sec) in grado di spazzare le polveri residue della nebulosa iniziale.
L'origine di questo vento stellare è probabilmente da ricercarsi nella
accensione del deuterio: si attivano, cioè, le reazioni nucleari tipiche delle stelle.
Si devono associare a questa fase dellevoluzione stellare anche gli oggetti di Herbig-Haro,
caratterizzati dallemissione di intensi getti di gas dalle regioni polari, e le
stelle di tipo FU-Orionis, che presentano in modo molto più accentuato i violenti
fenomeni eruttivi tipici delle stelle T-Tauri.
Lo scenario finale, dunque, è quello di una stella all'inizio della sua evoluzione (fase
zero del diagramma H-R o, se si preferisce, stadio finale dell'evoluzione di pre-sequenza
principale) attorno alla quale gravitano dei corpi celesti di dimensioni diverse: tra
questi planetesimali inizia un complesso processo di accrezione e collisione nel quale
giocano un ruolo fondamentale le perturbazioni gravitazionali generate dai corpi con massa
maggiore.
Sempre tenendo ben presenti le precauzioni già evidenziate allorchè si operino delle
schematizzazioni, il processo di formazione del Sistema Solare può essere riassunto nelle
seguenti fasi:
FASE "ZERO"
Inizio delladdensamento gravitazionale: si parte da una nube interstellare
(composta per il 70% di H, il 27% di He e per il restante 3% di elementi più pesanti) la
cui situazione di equilibrio viene perturbata da un fattore esterno. Non è
certamente azzardato Taylor (1992) quando afferma che la nebulosa primordiale non doveva
essere di grande massa e neppure dotata di moto rotazionale elevato; queste due
caratteristiche, infatti, resero possibile il fenomeno di addensamento centrale,
impedendo, cioè, quel frazionamento della nebulosa che sarebbe sfociato nella nascita di
un sistema stellare binario.
A proposito della causa perturbatrice responsabile dellinnesco del meccanismo di
autogravitazione, già si è avuto modo di dire che, oltre l'onda di densità di Lin, si
può ragionevolmente ipotizzare una vicina esplosione di supernova: con tale ipotesi si
potrebbe giustificare la presenza di alcuni isotopi la cui sintesi difficilmente si
potrebbe spiegare in altro modo.
Ad ogni buon conto ha inizio il collasso gravitazionale, assicurato dalla presenza di
materia in quantità sufficiente a garantire la massa di Jeans.
FASE 1
Collasso della materia della primordiale nebulosa solare (gas e polvere) in
un disco rotante (dissipazione di momento angolare) e conseguente condensazione
di piccole particelle (formazione dei granuli). Ripetuti episodi di
condensazione ed evaporazione possono spiegare le inclusioni refrattarie di CAI (calcio-alluminio
intrusion) rilevate in alcune meteoriti. Sono queste inclusioni gli
oggetti più antichi dei quali è stato possibile stabilire una datazione (meteorite
Allende), stimata in circa 4560 milioni di anni; ed è a tale epoca cui, solitamente, ci
si riferisce quale istante To per il Sistema Solare.
Considerando la composizione attuale del Sistema Solare interno, sembra che gli elementi
condensatisi per primi siano Ferro, Nickel e silicati di Ferro e Magnesio; nelle regioni
più esterne della nebulosa, a temperature inferiori, il nocciolo della condensazione era
costituito da ghiaccio dacqua e ghiacci di acqua/ammoniaca.
Il ritmo di crescita è quantificato (Goldreich e Ward, 1973) nellordine di
centimetri per anno per i minerali più abbondanti; considerando la condensazione del
Ferro nella regione terrestre viene suggerita la condensazione di granuli con raggio di
alcuni centimetri in tempi di una decina danni.
FASE 2
Contemporaneamente alla fase di condensazione in granuli inizia la caduta delle
particelle verso il piano mediano della nebulosa con la conseguente formazione di un sottile
e denso disco di polveri. E in questo disco di materia formatosi nel
piano centrale durante la fase di condensazione che si sviluppano le instabilità
gravitazionali responsabili dei fenomeni successivi; i valori dei parametri fisici
caratteristici sono, indicativamente, di 700 °K per la temperatura e 7.5x10-10
g/cm3 per la densità del gas (Goldreich e Ward, 1973).
Si verificano episodi di fusioni che coinvolgono metalli e silicati e che possono spiegare
la formazione di condruli; con questo termine si indicano le inclusioni sferoidali,
tipicamente di circa 0.5-1.5 mm, presenti nei meteoriti condritici e composti in genere di
olivina (silicato di Fe e Mg). Il modello ritenuto più plausibile per la
formazione di tali strutture (Levy e Araki, 1989) prevede la presenza di flares nebulari,
analoghi alle protuberanze normalmente osservate sul Sole. Questi eventi
altamente energetici avrebbero caratterizzato le zone situate al di fuori del piano
mediano della nebulosa con rilascio praticamente istantaneo di enormi quantitativi di
energia (circa 1032 erg) immagazzinata nelle linee di campo magnetico
sottoposte a distorsione. La rapidità del fenomeno (i tempi ipotizzati sono
dellordine di 0.1 sec) e le alte temperature associate sarebbero in grado di
spiegare efficacemente sia la formazione dei condruli sia le loro ridotte dimensioni.
Il fatto che i condruli siano così comuni è una prova che in quel periodo la nebulosa
solare era caratterizzata da rimescolamenti violenti, riconducibili alla necessità di
dissipare considerevoli quantità di energia.
FASE 3
Aggregazione delle polveri in planetesimali per mezzo di collisioni a bassa velocità.
Inizia in questa fase il bruciamento dell'H ed il proto-Sole inizia la fase T-Tauri
e FU-Orionis che ha una durata di circa 106 anni.
Ad una distanza di circa 4 U.A. si può situare la snow-line, la linea immaginaria
in corrispondenza della quale avviene la condensazione del ghiaccio dacqua, fenomeno
in grado di accrescere la densità locale della nebulosa planetaria incrementando
notevolmente il ritmo di accrezione. Non è ancora certo se il meccanismo
della snow-line sia stato attivo solamente per la formazione planetaria nella regione di
Giove oppure se vi siano stati altri siti in cui meccanismi analoghi abbiano fatto da
catalizzatore della fase di accrezione. Certo è, invece, che tale meccanismo
operante nella regione posta a circa 4 U.A. dal Sole e che porterà alla formazione di
Giove ha influenzato pesantemente (e lo vedremo in seguito) levoluzione successiva
di tutto il Sistema Solare.
Un secondo dato certo è che questi primi stadi della formazione dei pianeti si sono
svolti sullo sfondo di una luminosità molto più elevata di quella attuale, quantificata
da Hoyle (1979) in circa 150 LSOL.
Tutto il gas presente (H, He ed altri) viene rimosso dalla regione interna (vento T-Tauri)
lasciando solamente i planetesimali di una certa massa già formati. La massa
originaria della nebulosa è stimabile (Hoyle, 1979) in almeno 1750 masse terrestri, delle
quali circa 1300 costituite da H ed He sono in qualche modo andate perdute.
FASE 4
Nella zona dove il ghiaccio d'acqua diventa stabile, a circa 5 U.A. dal Sole, si
colloca l'accrezione di Giove che raccoglie anche parte dei gas espulsi dalla zona
interna. L'accrezione del nucleo del proto-Giove deve essere avvenuta in un
tempo di 105-106 anni ed altrettanto tempo è servito per la sua
formazione definitiva: lintero processo, comunque, si deve essere svolto prima che
il gas venisse completamente dissipato. Dunque Giove è un vero e proprio
pianeta e non una stella mancata: la sua origine è da ricercarsi in meccanismi di
accrezione e non direttamente dal frazionamento della nebulosa originaria.
E importante ancora una volta evidenziare che la formazione rapida di Giove è
certamente stato levento più importante per il Sistema Solare in formazione, un
evento in grado di condizionare pesantemente le successive fasi evolutive.
E' riconducibile a questa fase anche la formazione dei nuclei di Saturno, Urano e
Nettuno, la cui formazione, però, avviene molto più lentamente.
Saturno impiega un tempo due volte più lungo di Giove: a differenza di Giove,
inoltre, ha un asse di rotazione inclinato rispetto al piano dell'orbita, chiara
indicazione che si deve essere condensato da più di un corpo di grandezza considerevole.
Urano completa l'accrezione in circa 107 anni e Nettuno nel
doppio di questo tempo; la formazione di questi due pianeti deve certamente essere
avvenuta quando ormai buona parte di H ed He erano sfuggiti dal Sistema Solare.
La formazione di Urano e Nettuno assomiglia a quella dei pianeti di tipo terrestre, dunque
è profondamente differente da quella di Giove e Saturno, formatisi in presenza di un
grande quantitativo di H ed He.
Fernandez e Ip (1983) collocano in questa fase lorigine di planetesimali che,
immessi in orbite molto eccentriche dallazione dei nuclei iniziali di Nettuno e
Urano, avrebbero poi costituito sia la Nube di Oort sia una fascia cometaria
trans-nettuniana (seguendo in ciò le teorie avanzate negli anni 50 da Edgeworth e
Kuiper).
Lanalisi numerica dei processi di accrezione dei planetesimali associati alla
formazione di Urano e Nettuno porta Fernandez e Ip a concludere che:
1. Il principale responsabile dellimmissione di oggetti
nel serbatoio cometario è con molta probabilità Nettuno, in quanto linfluenza di
Urano è largamente inibita dallazione gravitazionale di Giove e Saturno. Questi
ultimi, inoltre, sono caratterizzati da scarsa efficienza nel lanciare corpi nella regione
di Oort, mentre sono più efficienti nellimmissione di "cometesimali" in
orbite iperboliche.
2. Un significativo numero di corpi (per una massa complessiva
dellordine di alcune MTER) potrebbe essere stato
immesso in questa fase nella regione dei pianeti interni.
Le comete così come le osserviamo sono pertanto una caratteristica di un sistema
planetario già formato, chiaro indizio che già si sono verificati due fatti
significativi, vale a dire la condensazione dei ghiacci allinterno della nebulosa e
la presenza di corpi in grado di lanciare questi oggetti su vaste orbite intorno alla
stella centrale.
A proposito ancora della formazione di Giove è significativo riportare un recente studio
di F. Marzari e S. J. Weidenschilling (Marzari, 1997) che intende spiegare levidenza
osservativa di pianeti di massa elevata posti a piccola distanza dalla rispettiva stella,
situazione difficilmente comprensibile ricorrendo allo scenario delle snow-lines non solo
per le temperature elevate (circa 1000 °K ad 1 U.A.), ma anche per la carenza di
materiale a disposizione (si tenga conto, a questo proposito, che i cosiddetti giganti
gassosi sono costituiti per l80-90% da H ed He).
Nella tabella seguente sono riportate le scoperte di pianeti extrasolari le cui strutture
e composizioni chimiche dovrebbero essere molto simili a quelle di Giove e Saturno, sono
associati a stelle di tipo spettrale molto simile al nostro Sole ma hanno unorbita
molto vicina alla loro stella:
Nome
Stella |
Tipo
spettrale |
Massa pianeta
(M gioviane) |
Semiasse
orbita (U.A.) |
47 Uma |
G0 |
2.4 |
2.1 |
16 Cyg B |
|
1.7 |
1.8 |
Lalande 21185 |
nana rossa |
1 |
2.3 |
51 Peg |
G2 |
0.47 |
0.2 |
55 r Cnc |
G8 |
0.84 |
0.3 |
t Boo |
F7 |
3.8 |
0.2 |
u And |
|
0.68 |
0.2 |
70 Vir |
G5 |
6.6 |
0.5 |
HD 114762 |
|
10 (*) |
0.5 |
(*) E una possibile nana bruna.
Lipotesi avanzata è che tali pianeti si siano formati nelle regioni più esterne
delle nebulose di origine e siano poi stati dirottati in orbite più interne da meccanismi
dinamici estremamente efficienti riconducibili alle interazioni tra più oggetti massicci.
Ipotizzando la formazione contemporanea di più planetesimali giganti
collocati a distanze reciproche di 2-3 U.A. si avrebbe come immediata conseguenza lo
scatenarsi nel sistema di forti perturbazioni gravitazionali, operanti su tempi
dellordine del milione di anni, che renderebbero veramente caotica levoluzione
orbitale rendendo possibile sia la collocazione di pianeti giganti in orbite prossime alla
stella centrale sia fenomeni di espulsione su orbite iperboliche.
Un aspetto da non sottovalutare è che una evoluzione dinamica di questo tipo porterebbe
con se quale inevitabile conseguenza uno "svuotamento" del sistema planetario in
formazione con linibizione alla formazione di pianeti dotati di massa terrestre.
FASE 5
Formazione dei pianeti di tipo terrestre (Mercurio, Venere, Terra e Marte) in
tempi di 107-108 anni.
E' ragionevole ipotizzare, tra questi, la situazione "disagiata" di Mercurio e
Marte: il primo risente della vicinanza del Sole ed il suo accrescimento si sviluppa in
una zona molto povera di materiale; il secondo risente dell'azione di svuotamento
esercitata da Giove nella zona della Fascia Principale degli asteroidi.
Tale azione di svuotamento era duplice: da un lato l'acquisizione e l'inglobamento di
planetesimali qui sviluppatisi, dall'altro lato la loro espulsione dalla suddetta zona.
FASE 6
Formazione dei sistemi satellitari e dei sistemi di anelli attraverso
meccanismi secondari di accrezione, cattura di planetesimali già formati ed episodi
collisionali.
Talvolta, in una concezione quasi frattale del nostro Sistema Solare cara anche allo
stesso Galileo, si può essere indotti a considerare i sistemi satellitari come dei
sistemi solari in miniatura, quasi una sorta di inevitabile conseguenza dei meccanismi
evolutivi di un pianeta. E certamente vero che la formazione dei
satelliti può essere considerata quasi un sottoprodotto della genesi planetaria, ma è
altrettanto vero ed evidente che le possibili varianti alla formazione satellitare sono
davvero molteplici, paradossalmente una per ogni satellite.
Si colloca in questa fase anche la formazione della Luna riconducibile ad un impatto con
un planetesimo di dimensioni paragonabili a quelle di Marte, evento databile 4.4 miliardi
di anni fa.
Episodi analoghi hanno coinvolto anche altri pianeti: a seguito di un impatto Venere
potrebbe aver invertito il senso di rotazione e, sempre per un impatto violento, Mercurio
potrebbe essere stato privato del mantello di silicati. Le collisioni hanno
inoltre caratterizzato e continuano a caratterizzare l'evoluzione dei corpi della fascia
asteroidale.
A 108 anni dalla separazione iniziale della nebulosa, il Sistema Solare aveva
completato il suo processo formativo ed iniziava per i corpi che si erano formati la lenta
modificazione superficiale ad opera sia degli episodi impattivi anche estremamente
violenti, sia di cause endogene.
Si innescava anche quel processo di formazione-distruzione delle atmosfere planetarie;
quelle attuali, infatti, non sono le atmosfere originarie (almeno nei pianeti di tipo
terrestre) ed è molto probabile che drastiche variazioni della composizione atmosferica
siano stati episodi frequenti nellevoluzione planetaria, proprio quali conseguenze
di eventi impattivi giganti. Il periodo di queste drastiche modificazioni
atmosferiche va collocato circa 3.8 miliardi di anni fa, in coincidenza con il momento di
maggiore bombardamento; in seguito le atmosfere dei pianeti terrestri sono state
sufficientemente stabili e non hanno più risentito di massicci fenomeni di rimozione, ma
hanno, ciascuna per conto suo, seguito percorsi evolutivi indipendenti risultando in tal
modo uniche. Per quanto riguarda la Terra, un aspetto correlato alla
costruzione dellattuale atmosfera è quello dellidentificazione
dellorigine dellacqua presente sulla superficie del nostro pianeta; e su
questo aspetto le comete avrebbero potuto giocare un ruolo decisivo (Chyba, 1987 e 1990).
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